L’amarezza e le speranze di Pulcinaro. Ma c’è la questione impianto sportivo

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Il derby proprio non riesce a regalargli soddisfazioni, anzi probabilmente al termine della sfida persa con il San Leucio del Sannio si è consumata l’amarezza più grande. Riccardo Pulcinaro, presidente dell’Arpaise, aveva sognato un finale diverso per la sua squadra, costretta invece a dire addio al sogno di approdare in Seconda Categoria.

«L’amarezza è tanta, abbiamo subito gol all’ultimo minuto dopo aver chiuso il campionato, tra l’altro, a un solo punto dal San Giorgio la Molara. Risulta francamente difficile digerire questa sconfitta», confida il massimo dirigente al termine del match con i “cugini”, «ci è mancata solo un pizzico di fortuna, onestamente non mi sento di dire nulla ai ragazzi, hanno dato l’anima e hanno disputato una grande stagione. Ci sono buoni propositi per il futuro».

Futuro sul quale bisognerà però fare delle riflessioni. «Ripartiremo da questo gruppo e dal mister, faremo qualche innesto e proveremo a vincere il campionato. Abbiamo una squadra giovane, ci manca solo un po’ di esperienza, dobbiamo farci le ossa. Ripescaggio? Non lo so, ci riuniremo e valuteremo serenamente il da farsi».

Soprattutto perchè sulle valutazioni peserà inevitabilmente la questione campo da gioco. Quest’anno l’Arpaise ha disputato una stagione perennemente in trasferta e aver dovuto affrontare l’undici di Meccariello proprio a San Leucio non ha certamente agevolato il compito della truppa di Domenico Varricchio. «Sarà dura mandar giù questa sconfitta ma il calcio è così, è fatto di episodi. Purtroppo non abbiamo un campo e dobbiamo ringraziare l’amministrazione di San Leucio per averci ospitato, anche se abbiamo pagato il dovuto. Siamo una sorta di “zingari” del calcio», conclude Pulcinaro, «siamo una società che si basa sul lavoro di poche persone, l’amministrazione di Arpaise non ci fornisce nessun aiuto ne in termini economici, ne in termini di campo sportivo. Forse per loro il calcio non è qualcosa di prioritario o di utile alla comunità. Le strutture ci sono ma sono praticamente tutte chiuse».