Il commento. Melillo vince la sua battaglia: il sogno è ancora vivo

L'assoluzione gli consente di tornare in campo. E chissà che un giorno...

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melilloDieci mesi vissuti in apnea, nella confusione più totale. Vincenzo Melillo si era trovato improvvisamente catapultato in un abisso profondo quanto la sua passione per il calcio. Ma non ci voleva molto a capire che quell’acqua sporca non avesse nulla a che vedere con i suoi sogni da bambino. Nel maggio scorso l’inchiesta Dirty Soccer lo aveva inchiodato portandosi via anche una carriera che tra alti e bassi sembrava aver preso finalmente la strada giusta. Era il portiere della Pro Patria, quasi sempre tra i migliori in campo, inondato da elogi e buone referenze. Poi la nebbia dell’inchiesta, l’allontanamento dal rettangolo verde. Quei numeri tremendi, il 3 e il 6 – rispettivamente gli anni e i mesi di squalifica a cui era stato condannato – a rimbalzargli nella testa. Da maggio in avanti per Vincenzo Melillo è stato tempo di lasciar stare i guanti e indossare i guantoni. Di lottare per la verità, consapevole che un sistema – come accade fin troppo spesso – lo aveva utilizzato come pedina all’interno di giochi più grandi di lui.

La notizia del suo coinvolgimento aveva scosso tutti, in special modo quelli che Vincenzo lo frequentavano e frequentano tuttora. Sia chiaro: chi vi scrive non lo conosce né mai ha avuto modo di parlarci, ma nel raccogliere testimonianze tangibili si incontra spesso la verità. E nessuno di quelli a cui è stata chiesta un’opinione sull’estremo difensore beneventano classe ’86 ha mai messo in dubbio la sua professionalità. Tifoso del Benevento da sempre, ha cullato e culla ancora il sogno di calcare il terreno di gioco del Vigorito con la maglia giallorossa. Lo fece con la casacca della Paganese, indossata nel 2005/2006 in serie D e dal 2008 al 2010 in C1. Poi esperienze ad Ascoli in B (senza però mai entrare in campo), Bellaria e Giulianova prima della parentesi alla Pro Patria, suo ultimo club ma solo in ordine di tempo. Perché la Corte Federale d’Appello lo ha tirato su da quell’abisso. E perché ai sogni non si deve mai rinunciare.